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Il pensiero sostenibile

Non è facile determinare il momento preciso e il tempo esatto in cui ha avuto origine il pensiero sostenibile. Certo è che il problema di uno sviluppo economico slegato dalla coscienza etica o responsabile sia un tema emerso soprattutto dopo l’era della prima industrializzazione.

È sicuramente possibile collocare la nascita di una vera riflessione sulla sostenibilità dopo il rapporto Bruntland, conosciuto anche come Our Common Future, che nel 1987 stabilì per la prima volta una definizione di sviluppo sostenibile:

“Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Nella definizione non si parla di ambiente, ma di responsabilità del presente nei confronti del futuro.

Tuttavia, il tema veniva già da tempo esplorato in altri contesti. Del pensiero sostenibile si trova traccia già presso le tribù Irokoses del Nord America: questi popoli pretendevano difatti che i loro capi tribù valutassero e considerassero anche i bisogni delle generazioni future nell’intraprendere delle decisioni.

Ma nel XX secolo il tema ottenne uno slancio considerevole. Nel 1962 la Biologa Rachel Carson pubblicò la “Primavera Silenziosa”, in cui esprimeva tutto il suo rammarico per l’uomo e per tutte le sue invenzioni, definite armi letali per la natura, gli animali e l’intera umanità.

Lo stesso Pasolini, in una pagina poco conosciuta e censurata dal Corriere della Sera, esprimeva la differenza tra sviluppo e progresso, definendo chiaramente come lo sviluppo fosse irresponsabile e mirasse al senso consumistico, mentre il progresso fosse un pensiero di responsabilità sociale futura.

Alberto Moravia, nel suo libro L’inverno Nucleare, riprese spesso attraverso interviste e pubblicazioni il concetto di responsabilità umana e futura e di rischio: “l’apocalisse forse è incontenibile, ma il mondo moderno che chiama le cose in modo diverso da quello degli antichi, con ogni probabilità non la riconoscerà, perchè sarà un’apocalisse lamentosa e squallida, l’apocalisse piagnisteo. Il piagnisteo sarà quello dell’uomo quando si accorgerà che nel cielo non ci sono più gli uccelli, né pesci nel mare, né fiere nei boschi… si guarderà intorno per il mondo muto e non vedrà che rifiuti, immondizie, residui e rottami”.

Un denominatore comune tra tutte le esperienze è che il pensiero sostenibile rappresenti un pensiero di coscienza verso il futuro. Si tratta di un pensiero che mira a valutare le proprie azioni rispetto alle conseguenze che queste possono determinare, non nell’immediato, ma nel sedimentarsi degli anni, dei secoli. Per questi motivi coincide con un pensiero etico e nobile, perché agire in senso sostenibile significa anche compromettere parte del benessere del presente a vantaggio di una speranza per il domani.

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